Beato Stefano Sándor

Sessione commemorativa

SDB

Boldog Sándor István ereklyetartója
Angelo Amato szalézi bíboros

«L’eredità dei martiri è l’amore, dono di Dio nei nostri cuori: fede, speranza e perdono anche nei tempi più difficili.»

– Cardinale Angelo Amato

Nel celebrare il centenario dell’insediamento della Famiglia Salesiana in Ungheria, si è tenuta una giornata commemorativa in onore del fratello salesiano Stefano Sándor, giustiziato dai comunisti l’8 giugno 1953.

In collaborazione tra i Salesiani di Don Bosco e il Museo Casa del Terrore, si è organizzata a Budapest una sessione commemorativa in onore del religioso salesiano Stefano Sándor, martire della fede.

L’evento è stato aperto da Béla Ábrahám, Ispettore dei Salesiani in Ungheria.
La conferenza introduttiva, dedicata alla persecuzione della Chiesa sotto il regime comunista, è stata tenuta da Mária Schmidt, direttrice generale del museo.

La vita del fratello Stefano Sándor, condannato a morte e giustiziato dal regime di Rákosi – la sua testimonianza evangelica, la tortura subita, la sua toccante professione di fede e il processo farsa – sono stati presentati attraverso il cortometraggio di finzione Servo di Dio Stefano Sándor, diretto da András Dér.

Pierluigi Cameroni, postulatore salesiano, e Frigyes Kahler, storico del diritto, hanno tenuto conferenze sulla causa di beatificazione del martire e sulla documentazione processuale.
Alla sessione commemorativa ha preso parte anche l’arcivescovo Alberto Bottari de Castello, nunzio apostolico in Ungheria.

Mária Schmidt ha delineato il quadro della persecuzione ecclesiastica durata quasi quattro decenni sotto il comunismo: dopo la condanna del cardinale Mindszenty seguì la sottomissione forzata della gerarchia ungherese, la dispersione degli ordini religiosi, la proibizione delle loro attività e una lunga serie di processi farsa — tra le cui vittime vi fu anche il fratello Sándor.
Mária Schmidt ha sottolineato che l’ateismo militante e il materialismo storico appartengono essenzialmente al sistema marxista-comunista, e da ciò deriva logicamente la persecuzione implacabile della religione e della Chiesa, l’impiego di metodi violenti e provvedimenti coercitivi volti a sradicare la fede cristiana — come ha riportato Ferenc Szabó SJ in un servizio per Radio Vaticana.

Alla sessione commemorativa, Pierluigi Cameroni, postulatore generale della Famiglia Salesiana, ha parlato del processo di beatificazione.
Nel suo intervento ha ricordato che la fase diocesana della causa si è svolta tra il 2006 e il 2007, durante la quale furono ascoltati numerosi testimoni. La fase successiva, presso la Santa Sede, ebbe inizio nel 2008 e si concluse con la decisione del Collegio dei Cardinali, pronunciata il 15 gennaio.

Tra i motivi del ritardo nell’avvio della causa di beatificazione, il postulatore ha menzionato anche la difficoltà di rintracciare ricordi e testimonianze su Stefano Sándor dopo gli eventi di quell’epoca.
Durante la sessione commemorativa, ha mostrato ai partecipanti la cosiddetta Positio riguardante la causa presso la Santa Sede.
Secondo quanto riferito, questo volume corposo contiene la documentazione della commissione storica, della commissione teologica e del Collegio dei Cardinali.

Il postulatore generale ha anche ricordato che la sentenza di condanna a morte inflitta a Stefano Sándor è stata annullata solo nel 1994.
Ha aggiunto che il processo intentato contro Stefano Sándor e i suoi compagni si è svolto in un clima di paura, e che le confessioni furono estorte con la forza.

Frigyes Kahler, storico del diritto, ha spiegato che l’obiettivo dell’apparato repressivo dello Stato comunista era quello di liquidare le classi sociali ritenute scomode, un intento che richiama l’ideologia nazista, la quale perseguiva lo stesso fine su base razziale. Nei processi farsa, spesso si giudicava sulla base di fatti infondati; in altri casi, l’accusa conteneva qualche elemento di verità, ma questo veniva distorto.

Nei processi ispirati al modello sovietico, chiunque poteva essere condannato anche senza prove attendibili: l’unica “prova” era spesso la confessione estorta. Kahler ha sottolineato che, in questi procedimenti, non era il dibattimento in tribunale a prevalere, ma piuttosto la fase istruttoria e investigativa.

Secondo il suo intervento, in una tipologia specifica di processi farsa — i cosiddetti “processi spettacolo” — la pubblicità era accuratamente coreografata; nei processi segreti, pur svolgendosi a porte chiuse, il regime faceva trapelare intenzionalmente alcune informazioni.
Nella dittatura si poteva essere ufficialmente condannati anche senza aver commesso nulla di illegale — ha affermato Kahler Frigyes.
Ha aggiunto che, sebbene i processi farsa si fossero temporaneamente fermati durante la rivoluzione e la guerra d’indipendenza del 1956, nella politica ecclesiastica del regime di Kádár continuarono ancora per decenni.

Al termine della sessione commemorativa si è tenuta una tavola rotonda con testimonianze personali, con la partecipazione di József Havasi, Ispettore dei Salesiani all’epoca della transizione politica, e del religioso salesiano Lóránt Bíró.

Fonte: Radio Vaticana / MTI / Magyar Kurír

 

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